sabato 28 gennaio 2017

Ridateci la Gasparona Nuova

Breve video girato sulla ex Gasparona Nuova in Gennaio.
Provare il brivido con pioggia, neve o nebbia!


domenica 2 ottobre 2016

Donald Trump e la Pedemontana

Riprendiamo per intero un bell'articolo d Fabrizio Bottini pubblicato su Eddyburg (www.eddyburg.com).
Ci sembra un punto di vista lucido e definitivo che condividiamo in toto e riportiamo con piacere.

«Le città? Devono stare zitte a cuccia e non chiedere più soldi». Così si esprimeva con una terminologia diventata leggendaria (Drop Dead!proprio come si dice ai cani) il peraltro dimenticato presidente americano Gerald Ford, inopinatamente succeduto a Nixon dimessosi per lo scandalo Watergate. Il suo linguaggio duro e sprezzante arrivava nel pieno della politica di disinvestimento urbano, ed esprimeva in sintesi una precisa linea conservatrice di sviluppo economico e sociale, iniziata in sordina a cavallo dell'ultima guerra, ma che dopo la stagione dei diritti civili e delle rivolte degli afroamericani nelle grandi metropoli aveva subito una forte accelerazione. Ovvero la fuga dei ceti medi dalle città centrali, lasciate in balia della dismissione industriale, di mostruose operazioni di urban renewal analoghe a certe grandi opere, inclusa la matrice autostradale, del formarsi di sacche di indicibile degrado sociale e umano, ambientale, magari di fianco a iniziative di speculazione edilizia terziaria, eccezioni a ribadire la regola.

Certo le grandi città erano tutt'altro che morte e sepolte, come dimostra ancora oggi quello straordinario filmato sulla «Vita sociale nei piccoli spazi urbani» composto dal sociologo William Whyte, ma la narrazione corrente, comprese certe strampalate teorie accademiche sulla cosiddetta «Integrazione spaziale», vendeva come ineluttabile quella dispersione territoriale suburbana delineata negli anni '30 dalla Broadacreautostradale di F.L. Wright, col suo vago sogno intellettuale di ritorno alla nuova frontiera, l'automobile invece del cavallo, il centro commerciale invece del saloon di qualche film di serie B. Curioso che proprio in quel periodo il padre di Donald Trump guadagnasse magnificamente lucrando proprio su quella narrazione di degrado e abbandono, accaparrandosi terreni nelle zone classificate hic sunt leones dall'immaginario collettivo, e poi gestendo la loro trasformazione in qualche palazzo per uffici o altro.

La suburbanizzazione era, come detto, un progetto economico, con tutto il suo strascico di consumi privati coatti, di ciò che la tradizione urbana considerava collettivo: dall'auto individuale, alla piscina, allo stesso verde del giardino alternativo a quello di quartiere, ai riti del fine settimana e via dicendo. Ma era anche un progetto politico, di natura sottilmente conservatrice per non dire peggio, con quel puntare tutto sul nucleo familiare, sullo slogan «I migliori vicini sono quelli separati da una solida recinzione», sulla trasformazione della casa e tutto ciò che conteneva nel cosiddetto castello del capofamiglia. Non a caso, le rilevazioni dei flussi elettorali appena qualcuno iniziò a porsi il problema, cominciarono a confermare l'ipotesi: le concentrazioni urbane erano più progressiste, la dispersione suburbana votava a destra. Vuoi per i partiti che tradizionalmente si presentano con quell'etichetta, vuoi su istanze specifiche, locali, referendarie o altro. Certo, difficile stabilire qualche tipo di scientifica corrispondenza fra cose come la densità edilizia, o le superfici a parcheggio pro capite, o la distanza di commercio e servizi dalle residenze, o i km di autostrada per abitante, e quel voto orientato in un senso o nell'altro. Ma agli studiosi il trend appariva e appare evidente.

E adesso arriva, se necessario, la conferma del discorso ufficiale di accettazione della candidatura di Donald Trump alla presidenza per i Repubblicani. Di quello stesso Trump che ereditato denaro e mestiere dal padre è diventato un simbolo di tante cose, che con quel dualismo territoriale e politico hanno a che fare: dalle «riqualificazioni» nelle zone centrali, a quel genere di lottizzazioni surreali progettate in aperta campagna da campioni di golf, e rivendute proprio come percorsi sportivi nel verde, quando altro non sono se non gated communities della peggiore e più esclusiva specie. Cos'ha detto, Trump, nel suo discorso alla Convention? Certo, lui parlava di questioni di ordine pubblico e sicurezza del cittadino, ma mettiamo in fila: caos e violenza per le strade; incremento degli omicidi soprattutto nei grandi centri ad esempio «nella Chicago da cui viene il nostro attuale presidente». E poi le infrastrutture che vanno a pezzi, vetuste, autostrade e aeroporti da terzo mondo (sic). Il che evoca e ribadisce, quasi esattamente, i medesimi scenari di quarant'anni fa, in cui Gerald Ford diceva, alle città che votavano in prevalenza Democratico e progressista: «a cuccia, niente soldi», e implicitamente «ci sono quelli degli investitori privati».
Foto F. Bottini

Oggi, letto nella prospettiva di quanto accaduto e ancora in corso nelle trasformazioni territoriali, lo scenario del candidato populista reazionario televisivo si legge più o meno, semplificando al massimo: grandi opere stradali di colonizzazione suburbana, a rilanciare la nuova frontiera dello sviluppo infinito di villette, centri commerciali,office park, zone industriali, ovvero ad alimentare i bacini naturali di voto alla propria area politica; e intervenire col ferro e il fuoco militare nell'orrore e degrado urbano, preparando la tabula rasa della riqualificazione speculativa, magari nella forma dei nuovi quartierini per giovani scapoli delle professioni rampanti, o quelle sacche di lusso a macchia di leopardo autogestite dalle imprese tecnologiche come intravisto a San Francisco, dove i pullman di Google attraversano blindati i quartieri «degradati» per portare in ufficio i manager. Normale, che la politica ragioni anche così, riproducendo nelle proprie scelte e strategie il medesimo brodo di coltura che le garantisce consenso. Lo si dovrebbe considerare anche da questo punto di vista, quando qui da noi si contestano i tracciati autostradali, gli «sprechi in opere inutili» che invece paiono utilissime proprio allo scopo di coltivarsi quel brodo sociale introverso, che prima o poi, al momento giusto, darà il proprio consenso alle medesime scelte chiuse, privatistiche, particolari. Tutto si tiene, basta farci caso. 


fonte: http://www.eddyburg.it/2016/10/donald-trump-sfreccia-sulla-pedemontana.html

martedì 5 luglio 2016

Il coraggio della Val di Tovo

Tutto cominciò nel 2015, quasi per caso, quando i valligiani son venuti a conoscenza dell'intenzione di costruire una centralina idroelettrica sfruttando un rio inserito in un ambiente incontaminato e vergine e che avrebbe irrimediabilmente deturpato la meravigliosa valle in cui è inserito....  da questa preoccupazione è partita una mozione per raccolta firma per bloccare questa ipotesi....


Mozione 
Siamo gente di montagna, abituata ad arrangiarsi piuttosto che a chiedere. Alle difficoltà quotidiane che tutti devono affrontare, noi dobbiamo aggiungere quelle del territorio che ci ospita. Territorio che ci vede costretti a raggiungere i nostri poderi, e talvolta, anche le nostre abitazioni dopo un faticoso percorso a piedi; a far legna su pendii impervi e a trascinarla a valle con sistemi tramandati dai nostri avi, per poterci riscaldare; a combattere contro il freddo, la neve; a percorrere distanze considerevoli su strade tortuose per raggiungere i servizi primari. 
Qui tutto è più difficile più lento rispetto ai luoghi di pianura e, forse, è anche per questo che siamo dimenticati dal resto del mondo. Fognatura, illuminazione pubblica, metanodotti, rete telefonica mobile, internet sono tutti servizi assenti, qui: basti pensare che alcune contrade sono state servite dall'acquedotto pubblico solo pochi mesi fa. Ciò nonostante non ci lamentiamo, accettiamo, semplicemente, sebbene le tasse le paghiamo come tutti quelli che invece, e per loro fortuna, possono usufruire di questi dati servizi.
Ora che ci siamo presentati, vogliamo sottoporre alla vostra attenzione una questione che ci sta a cuore e per la quale siamo chiamati dalla nostra coscienza a rompere il silenzio che ci caratterizza: la prevista realizzazione dell'impianto idroelettrico sulla “Val di Tovo”.
Questa valle, rimasta intatta nel tempo, è un luogo straordinario dove la poesia e la forza della natura avvolgono chi la percorreil quale non può che rimanerne rapito e fondersi in un tutt'uno con essa stessa. Il rio Tovo, lo dice il nome stesso, è un piccolissimo corso d'acqua la cui modesta portata è già stata visibilmente scemata dopo la derivazione fatta alcuni anni or sono per alimentare una nuova tratta dell'acquedotto, tant'è che ormai è un fatto eccezionale veder fluire l'acqua lungo gran parte del suo cammino.
Ci chiediamo, senza riuscire a darci una risposta, quale sia l'effettiva convenienza di un impianto idroelettrico - la cui portata media di derivazione è di 70 l/s (pari a 9 volte tanto quella dell'acquedotto!) - in un contesto in cui la condizione primaria per la realizzazione, cioè l'acqua, manca. Oltre agli aspetti economici - sui quali, peraltro, tutti sono chiamati a porsi questi interrogativi considerato che, molto probabilmente, i costi di realizzazione saranno oggetto di finanziamenti pubblici, e, quindi, di denaro dei contribuenti - nel piatto della bilancia bisogna mettere anche ciò che viene chiesto all'ambiente.
L’inaridimento del rio, oltre a compromettere la sopravvivenza della fauna ittica e non (l'area è frequentata da caprioli, cervi, camosci, ecc.), comporterà senz'altro la crescita della vegetazione spontanea all'interno del suo alveo - già ora in cattivo stato manutentivo - aumentando ancor più le situazioni di criticità idrauliche in caso di piena. Così come pure aumenteranno per il centro di Castana, considerato che il rilascio dell’acqua derivata avverrà in prossimità del punto in cui il rio Tovo si immette nel torrente Zara il quale, in breve spazio, si mette a sua volta nel torrente Posina, il tutto nell'immediato intorno dell'abitato succitato.
Non ci allunghiamo oltre.
Queste nostre preoccupazioni infatti sono già state condivise dalla Giunta Regionale Veneta che, con delibera n. 1988 del 23.12.2015, così recita e dispone:
“Occorre inoltre considerare il fatto che i corsi d'acqua minori o i tratti di corpi idrici prossimi alle sorgenti, presentano generalmente equilibri ecologici delicati, che possono essere compromessi in modo grave e talora irreversibile da derivazioni anche solo di una parte del deflusso idrico, e che a fronte dell'impatto ecologico di tali derivazioni è scarsa l'importanza per la collettività della produzione idroelettrica che deriva da piccoli impianti.
Si ritiene quindi necessario che ciascuna opera di captazione per uso idroelettrico, possa sottendere un bacino idrografico di estensione almeno pari a dieci chilometri quadrati, e mai inferiore…”
Il bacino del rio Tovo è di 3,5 kmq, pari a 1/3 del minimo stabilito: non è motivo sufficiente per bloccare lo scempio che si sta compiendo, visto che non è stato ancora autorizzato?
Sbagliare è umano, perseverare - nella consapevolezza maturata da esperienze decennali che già hanno prodotto danni ingenti - è veramente diabolico.
Noi siamo il Tovo: come lui facciamo il nostro percorso di vita, affrontiamo i salti per poi inabissarci, alterniamo la prosperità alla carestia, veniamo sfruttati; sempre e tutto senza chiedere nulla, in silenzio, con accettazione. Ancora non basta. Ci viene chiesto di più - e, guardate, non è certo l'invasione delle nostre terre (delle quali volentieri ci priveremmo per qualcosa di veramente utile) - ed è lo stesso di più che viene chiesto al Tovo.
Parliamo adesso, anche se ci viene detto che è troppo tardi: avremmo potuto parlare anche prima se qualcuno si fosse almeno degnato di informarci.
Ma, come sempre, siamo gente di montagna!
La presente viene sottoscritta anche da persone che, pur non essendo gente di montagna, si sentono di esserlo e condividono le nostre preoccupazioni!

Siamo arrivati a giugno 2016 e dopo la conferenza di servizi per dare il via al progetto a seguito delle iniziative messe in atto dal comitato °SalvaTovo il tutto è stato rinviato... non solo la Sovraintendenza esprime parere negativo
noi la raccontiamo così....


Dicembre 2015. Margareta, Carlo, Giusi, Pierluigi, Silvia, Cinzia, Carla e altri trovano i loro nomi pubblicati su una pagina del GdV, accanto a numeri di mappali, e uniti da un aggettivo: espropriati. Di un pezzetto di terra in una valle sperduta e semiabbandonata, incuneata in mezzo alle montagne, la val di Tovo.

Giugno 2016. Sei mesi dopo, il Comitato Salviamo il Tovo esulta: la temuta e attesa approvazione definitiva alla costruzione della centralina elettrica sul rio Tovo non è avvenuta. Il progetto va rivisto, la decisione è rinviata. Per noi rinviata, oggi, equivale a dire fermata. Abbiamo vinto. Abbiamo vinto NOI.

NOI sei mesi fa non c'eravamo, non eravamo ancora nati.

C'erano i proprietari espropriati di un pezzo di terra di una valle sperduta e semiabbandonata, poche decine di persone portatrici di un piccolissimo interesse, l'interesse individuale che giustamente arretra di fronte al superiore interesse collettivo: davanti a questo scenario non c'era possibilità di dubbio, la centralina si può, si deve fare, la centralina si farà.

Ma c'era dell'altro. Ed era l'essenziale, che come spesso accade è invisibile agli occhi, ma invece arriva diritto, forte e chiaro al cuore. E i cuori che hanno visto hanno compreso.

Che l'interesse collettivo non c'è, perchè l'acqua è troppo poca e la centralina non può funzionare, che il rio sarebbe stato totalmente prosciugato, che per la valle era la fine.

Che la costruzione della centralina avrebbe cambiato per sempre non solo l'aspetto secolare della valle, ma le vite stesse di chi ci vive, ci risiede, la attraversa, la usa, ne gode e la ama.

Che gli espropriati non avrebbero perso solo qualche pezzo di terra, che sarebbero stati espropriati ognuno di un pezzo della propria vita, della possibilità di conservare una memoria, di soddisfare un bisogno, di realizzare un sogno, di provare un piacere, di fare un progetto di vita.

Che tutti, in definitiva, eravamo espropriati, anzi meglio rapinati, perchè prendersi la terra sulla quale la gente vive, anche quando è legale, è un delitto; e lo è due volte, quando le aziende costruttrici devastano i territori per costruire opere inutili, e quando quelle stesse opere inutili te le rivendono, perchè gli amministratori le pagano con il denaro pubblico.

Così, NOI siamo nati. Arrivando dai luoghi, dai percorsi, dalle esperienze più disparate, con una destinazione sempre più precisa. Fermare la centralina, intanto, non spostarla o ridurla, fermarla proprio. La centralina non si può fare, non si deve fare. La centralina va fermata.

In sei mesi abbiamo raccolto firme, letto articoli, studiato progetti, scritto osservazioni, disegnato cuori e parole d'amore sui lenzuoli bianchi, organizzato assemblee pubbliche e giornate di festa. E abbiamo ascoltato, e parlato. Con esperti, avvocati, biologi, ingegneri, amministratori, comitati, associazioni. E abbiamo discusso, e lavorato. Abbiamo avuto dubbi, incertezze, abbiamo fatto tre passi avanti e due indietro. Abbiamo fatto mezzo giro dell'anno riunendoci in stanzette gelide, fradici di neve, arrostiti dalle stufe, percorrendo la valle sotto il sole e più spesso la pioggia, per ascoltarne la voce, la voce del Tovo.

E finalmente la voce del Tovo si è sentita, in un torrido fine giugno in una sala veneziana quella voce è stata ascoltata.  Il progetto va rivisto, la decisione è rinviata.

Certo sappiamo che non è ancora finita, che questa è solo la prima vittoria, che l'arroganza di chi è abituato a disporre del bene comune come cosa propria non si ferma al primo ostacolo.

Ma abbiamo dimostrato, innanzitutto a noi stessi, che le cose si possono cambiare. Ciascuno di noi in questi sei mesi è cambiato, ha imparato a condividere, a contare sugli altri oltre che su se stesso. Ci siamo messi insieme, ci abbiamo ragionato sopra.
Avevamo ragione noi, abbiamo ragione noi. E abbiamo vinto noi.

Ma anche stavolta manca qualcosa, ed è l'essenziale. Ed è che NOI, qui e ora, siamo il comitato Salviamo il Tovo; ma domani potremo essere in un'altra valle, in un altro territorio, dentro un'altra lotta, ovunque i diritti e i bisogni della gente vengano calpestati e ignorati, ma ci siano ancora persone pronte ad alzare la testa e lottare.  Che possiamo, da singoli individui separati e divisi, diventare NOI, unirci e vincere. Che se vogliamo, possiamo e dobbiamo farlo.  

  








sabato 14 maggio 2016

Del peggio del (nostro) peggio




Qualche  sera fa, a Cogollo del Cengio, all'imbocco della Valle dell'Astico, abbiamo assistito ad una performance di teatro-realtà che ha messo in scena il peggio di quella classe dirigente bottegaia e affarista che  da decenni governa e rovina la nostra Regione.
Diciamo teatro perché ognuno, come in una rappresentazione, ha recitato il proprio ruolo: sindaci forti coi deboli e deboli coi forti, amministratori silenziosamente accondiscendenti, imprenditori figli di un'epoca morta da almeno un decennio e, ciliegina sulla torta, il protagonista della serata, l'attor giovine Flavo Tosi venuto a rassicurare animi, cuori e  portafogli locali.
E proprio i portafogli sono l’elemento centrale dell'esposizione che ha dato come certa la costruzione della famigerata Valdastico Nord che da Piovene arriverà fino a Trento. Forse autostrada, forse superstrada, forse un po' di ognuna, ma sicuramente opera a quattro corsie e scuramente, fatalmente in arrivo.
Il paradigma riproposto è trito e ritrito: l'autostrada è un'opportunità, costa due miliardi (mica bruscolini) che verranno sparpagliati sul territorio portando lavoro, salvando le imprese locali, rilanciando l'economia, evitando ai nostri giovani il destino di emigranti.
Contenti gli imprenditori, contenti i sindaci e contenti i miopi.
A noi dispiace e non sembra vero di dover ascoltare di nuovo queste argomentazioni: ormai daremmo per acquisito il fatto che la costruzione di nuove autostrade faccia parte di un modello di sviluppo che ha raggiunto il culmine e che è nella sua parabola discendente.
Non tanto perché le coscienze e la percezione popolare e quindi l'opposizione al fenomeno siano cambiate (ancora oggi  la costruzione di strade è percepita come progresso, come se non fossero passate ere tecnologiche tra il dopoguerra e la nostra epoca, con tutto quello che ne dovrebbe conseguire), ma proprio per l'esaurirsi progressivo del combustibile che ha permesso al fuoco dello sprawl di bruciare (e consumare così tanto territorio).
Noi pensiamo che l’elemento chiave, evidenziato dagli interventi dei comitati territoriali, è che si vuole realizzare l’autostrada per permettere ad A4 Holding di vedersi rinnovata la concessione della tratta Brescia-Padova che la mantiene in vita producendo utili per e dividendi per milioni di euro (42 nel 2015) a vantaggio di soci e azionisti.
Così, recitando un mantra modernista si scava, si buca, si uccide una valle intera, un territorio vastissimo, un ecosistema già tartassato dall'azione dell'uomo e che non dovrebbe in alcun modo essere ulteriormente sfruttato e martoriato.
Allarghiamo lo sguardo per un attimo.
E' indubbio che in Veneto, per decenni, dal dopoguerra ad oggi, la compravendita di terreni, il loro passare da agricoli ad edificabili ha creato la ricchezza individuale e (in minima parte) collettiva. Si è costruito in modo abnorme per inseguire un sistema in cui un terreno su cui insiste un manufatto qualsiasi, sia pure inutilizzato, e conseguentemente improduttivo, vale diversi ordini di grandezza più dello stesso terreno produttivo ma nudo.
In nome del denaro, si è chiamato progresso un'attività insensata e frenetica di cementificazione.
In nome di quel progresso si è costruito di tutto: quartieri residenziali, case singole, capannoni, zone artigianali, zone industriali senza collegamenti e senza pianificazione.
Ora che quell'epoca è finita (per sempre), per raschiare il fondo del barile, con la promessa della ripresa economica e la scusa delle infrastrutture mancanti, si sacrificano gli ultimi metri di terra rimasti a Grandi Opere Inutili, che si declinano nel nostro territorio in opere autostradali (Valdastico Nord, Valdastico Sud, Pedemontana Veneta, Nogara mare solo per citare quelle enumerate da Tosi).
Però queste autostrade sono affari lucrosi per chi le costruisce e gestisce e non hanno ricadute economiche sul territorio sul quale insistono (basti come esempio la Pedemontana Veneta dove gli espropri non vengono pagati così come le ditte che lavorano in subappalto fanno fatica ad incassare), anzi, le ricadute sono negative in termini di distruzione del territorio, qualità dell'aria e dell'acqua e in ultima analisi, di qualità della vita (solo per fare un esempio, immaginiamo in una valle chiusa il rumore dei cantieri prima e del traffico poi).
Dicevamo dunque che il paradigma spacciato per buon senso non regge.
Sul territorio Vicentino si perpetua una pratica negativa di sfruttamento e devastazione del territorio.
Noi abbiamo uno dei pochi inceneritori ancora attivi in Veneto, abbiamo uno scandalo tutt’ora aperto sulla questione del Project Financing dell’ospedale di Santorso, una superstrada che ha tagliato in due la Provincia e ha sottratto terreno agricolo spregiudicatamente come la Pedemontana Veneta, abbiamo sostanze tossiche sepolte sotto il manto stradale della Valdastico Sud, abbiamo cromo esavalente che minaccia la falde a Zanè, ci ritroviamo l’oscenità della costruzione delle centraline elettriche lungo percorsi d’acqua insignificanti e che vanno a distruggere ecosistemi ancora intatti e quei pochi territori ancora incontaminati (citiamo la valle di Tovo per tutti), c’accorgiamo dopo anni che sopra le grotte d’Oliero e sopra uno dei più grandi bacini idrici Italiani e non solo abbiamo sotterrato tonnellate e tonnellate di rifiuti tossici e, come se non bastasse, abbiamo avvelenato l’acqua che beviamo ( caso Miteni - PFAS con centinaia di migliaia di persone che bevono acqua contaminata).
Diciamo abbiamo, perché la responsabilità è anche nostra che non siamo stati in grado di frapporci a gamba tesa contro questo sistema corrotto che avvelena, uccide e sfrutta fino al midollo i cittadini di questa provincia e il suo ambiente.
Ora, tornando alla Questione  Valdastico Nord, sono due le cose: o cerchiamo di aprire un largo fronte di opposizione a quest’opera inutile o quest’ultima ci travolgerà come è accaduto troppo spesso fino ad oggi.
Opporci è giusto, è sacrosanto ed è compito dei cittadini che vogliono vedere e vivere in una valle e in un territorio che non sia maneggiato, controllato e definitivamente rimodellato in negativo dai soliti noti imprenditori veneti che sulla pelle della gente fanno i loro sporchi affari.
Partiamo da più dati quindi per dire che ci sono delle motivazioni che ci devono vedere impegnati e coinvolti insieme ad altri nell’opposizione alla costruzione di questo ennesimo scempio ambientale ed economico.
C’è un dato finanziario che vede quest’opera come una delle più dispendiose degli ultimi anni e che come detto dai proponenti non sarebbe sostenibile.
C’è un dato umano che deve vederci non come “ quelli del no e basta ” ma come quella parte di cittadini che dice SI alla vita, che dice SI alla preservazione del territorio e alla sua valorizzazione (anche in termini di ricaduta economica ) tramite la messa a valore delle specificità e delle caratteristiche singolari che il paesaggio a livello naturalistico ci ha donato.
C’è il fattore che vede, come già detto, il nostro territorio già fin troppo inquinato e spremuto.
E questo deve essere l’elemento che rovescia una logica di continuo sfruttamento a discapito dei cittadini che vivono quotidianamente attorno e dentro a queste catastrofi ambientali sparpagliate in tutta la provincia che si trova, se analizzata sotto lente delle catastrofi ambientali, dello sfruttamento del suolo, dei livelli di polveri sottili nell’aria tra i più alti in Europa, immersa in un Biocidio Quotidiano.
Bisogna dire a gran voce un forte Stop Biocidio. Stop Biocidio anche nella provincia di Vicenza!
Un consumo abnorme del suolo o una mancanza di rispetto dell’ambiente spesso innescano catene di ulteriori abusi; e l’esempio più semplice e veloce da fare è che se la costruzione della Valdastico Nord andasse in porto in men che non si dica nella vallata andrebbe a nascere un Calcificio ( per la posizione strategica che assumerebbe a metà strada tra Trento e Vicenza ) o il già ventilato polo logistico di spostamento merci pensato a Piovene.
Concludiamo con una nota: il signor Tosi presente a Cogollo in veste di presidente di Autostrada Brescia Padova controllata da A4 Holding (e quindi, teniamolo presente, rappresentante degli interessi di una società autostradale, non dei nostri)ha detto: non è vero che si costruisce la Valdastico perché serve per rinnovare la concessione, è il contrario: siccome ci rinnovano la concessione, ci chedono in cambio di costruire la Valdastico Nord.
Ce lo chiede l'Europa.
No! "Ce lo chiede l'Europa" non si può proprio più sentire!


giovedì 3 marzo 2016

Un giorno di mobilitazione


Tra pochi giorni, nella bella Venezia Renzi e Hollande, con il loro codazzo di ministri cercheranno una vetrina per esporre al mondo i loro disastri:
 
una grande opera inutile e imposta,
un patto finanziario con le banche per strangolare i cittadini,
una nuova frontiera per lasciare morire di guerra le persone,
una nuova guerra (e chissà che altro ancora di peggiore).

Aspettando la nefasta scaletta di appuntamenti anche noi ci prepareremo.

Alcune considerazioni:
Renzi e Hollande cercano la vetrina per stipulare altri accordi per il TAV in Val di Susa, opera invisa e osteggiata da trent’anni di lotte delle popolazioni della Valle A Venezia, città simbolo delle grandi opere - grandi bidoni, ma anche città della grande retata contro la cricca del Mose che ha rubato e sperperato ben un miliardo di euro sui cinque che finora è costato il Mose.

Lo fanno in un Veneto già da decenni martoriato dall'espandersi di zone industriali, artigianali e commerciali che hanno trasformato il paesaggio e consumato centinaia di km quadrati di suolo fertile tanto che già nel 2003 i numeri delle rilevazioni spiegavano che negli ultimi 5 anni erano stati costruiti nel Veneto edifici industriali pari a un capannone alto 10 metri, largo 28 e lungo 200 chilometri ( Da allora sono passati più di dieci anni senza inversione di tendenza, tanto che due anni fa il Veneto ha perso la propria autonomia alimentare a causa del consumo di suolo).

In questo contesto giace, il nostro territorio dell'Altovicentino, dove, da dati pre-crisi economica, la «dote» portata alla provincia di Vicenza, una delle più industrializzate d'Italia, da ogni abitante in più degli anni Novanta, è un blocco di cemento di 1.070 metri cubi. Crescita demografica: più 52 mila abitanti, pari al 3%. Crescita edilizia: più 56 milioni di metri cubi.  

Ne valeva la pena?
Valeva la pena di costruire oltre il quadruplo delle case necessarie rispetto all'incremento di cittadini e di insultare ciò che restava delle campagne care a Meneghello con giganteschi scheletri di calcestruzzo tirati su spesso solo per fare un investimento e tappezzati di cartelli «affittasi»?

E oggi a maggior ragione vale la pena di occupare le poche zolle rimaste all'agricoltura con inutili e costose grandi opere d'asfalto, Pedemontana Veneta, Valdastico Sud, Valdastico Nord, tutte strade che non saranno mai ripagate se non dai cittadini già notoriamente pressati da tasse e balzelli vari.

Per quanto sopra scritto e per molti altri motivi che vedono fiumi di denaro pubblico riversarsi nelle tasche di pochi privati a discapito delle famiglie che con difficoltà arrivano a fine mese, costretti a mantenere i figli per mancanza di posti di lavoro, non possiamo che accogliere la proposta che ci viene dal Val di Susa che ci dà l’occasione di proporre a tutte le realtà del territorio una giornata di mobilitazione generale, contro il modello di sviluppo caratterizzato dalle grandi opere inutili, dannose ed imposte.

Nuove economie e nuove opportunità di lavoro potrebbero essere creati se i fiumi di denaro pubblico che allagano le pianure dell’interesse privato, della corruzione e dei mercanti di morte,  fosse investito nella tutela e gestione del territorio, in  un sistema davvero sostenibile e non per arricchire solo pochi imprenditori o multinazionali.

Invitiamo quindi tutte e tutti a trovarci a Venezia il giorno 8/3/2016 alle ore 10 del mattino presso la stazione FS Santa Lucia per partecipare alla manifestazione regionale contro TAV Grandi navi in Laguna e Grandi Opere.

domenica 28 febbraio 2016

Verso 8/3

APPELLO PER UN'ASSEMBLEA PROVINCIALE DEI COMITATI TERRITORIALI; VERSO LA MANIFESTAZIONE DELL'OTTO MARZO A VENEZIA
 
Il prossimo 8 Marzo a Palazzo Ducale a Venezia, si terrà un vertice bilaterale italo-francese tra Renzi e Hollande su temi vari ed in particolare sul progetto Tav Torino-Lione.

Il movimento No Tav della Valsusa insieme al Comitato No Grandi Navi, invitano alla mobilitazione comitati e cittadini di tutto il paese che nei propri territori lottano contro le grandi opere. Venezia, simbolo delle grandi opere, è la città delle retate e dei miliardi di euro di soldi pubblici truffati con il Mose. Renzi e Hollande l'hanno scelto come vetrina per mostrare al mondo l'unica strada che hanno interesse di percorrere, quella della devastazione e saccheggio dei nostri territori per l'interesse di pochi ma grandi affaristi.

Come comitati che lottano contro il mega-progetto della Tav Verona Padova accogliamo l'appello alla mobilitazione per la giornata del 8 Marzo. Vogliamo inoltre rilanciare una nostra proposta di costruire insieme agli altri comitati della provincia di Vicenza, la partecipazione comune alla manifestazione di Venezia. Il nostro territorio è ricco di piccole e grandi esperienze di lotta e di partecipazione dal basso contro le tanti grandi opere che negli ultimi decenni hanno trasformato il volto di questa provincia. Tanti comitati, che vorremmo mettere insieme, per conoscerci e per condividere le nostre esperienze e per costruire un ragionamento comune, pur mantenendo le singole specificità. La mobilitazione veneziana ci offre questa importante opportunità.

Vi invitiamo pertanto a un assemblea pubblica, Giovedì 3 Marzo alle ore 21 al CS Bocciodromo, Via Rossi 198 a Vicenza. Discutiamo insieme della partecipazione alla manifestazione di Martedì 8 Marzo di e come costruire un viaggio comune nei mesi a venire.

Comitato Popolare dei Ferrovieri
Comitato Cittadini Vicenza Est

sabato 20 febbraio 2016

La verità fa male (#nontornerannoiprati)


Lunedì scorso in mattinata lungo il cadavere della Nuova Gasparona, ci siamo imbattuti in una ventina di cartelli che recitavano una evidente verità: "NON TORNERANNO I PRATI".

La sera, i cartelli erano stati rimossi, come se la verità che raccontavano fosse meno vera se censurata e nascosta.

Ma oggi pomeriggio, siamo stati rinfrancati nel notare le scritte che riportiamo nelle immagini qua sotto.

Nascondere la verità non serve a nulla, perché la verità si perpetua da sé.

Rendiamo virale la verità!