domenica 5 gennaio 2014

Riflessioni di inizio anno

Come sempre, con l'avvicinarsi della fine dell'anno, tra la fretta imposta dalle scadenze legali e l'assopimento glicemico-etilico delle baldorie natalizie passano silenziosamente e sottobanco emendamenti, sentenze, leggine e decretini.

Viene dato risalto alle concessioni alle richieste dei cittadini per fare passare in secondo piano i provvedimenti che realmente vanno a modificare la vita delle persone.

Viene spontaneo fare una considerazione.

La parziale sospensione dei lavori della Pedemontana Veneta fino al 15 gennaio sui terreni dei ricorrenti al TAR del Lazio è ben poca cosa se rapportato allo sforzo economico ed organizzativo messi in opera per ottenerla. Vedremo in futuro se tale sforzo produrrà qualcosa di più.

Purtroppo però, senza il sostegno di una reale mobilitazione popolare l'opposizione alla costruzione di questa e di tutte le altre grandi opere non può che produrre risultati minimi e provvisori.

L’esperienza di questi anni ci dice infatti che le prescrizioni vengono aggirate, le indicazioni disattese, e le sentenze sospese di fronte al potere dei gruppi di interesse che di grandi opere si cibano e su cui prosperano.

Una massiccia presa di posizione da parte della persone passa inevitabilmente attraverso la consapevolezza che queste cattedrali nel deserto, questo spreco di risorse non rinnovaibili, questa distruzione del territorio, non solo non sono necessarie, ma nemmeno aumentano la qualità della nostra vita permettendoci (in teoria) di correre, produrre e consumare di più.

La qualità della vita infatti aumenta se e solo se la nostra quotidianità diviene più lenta, sobria, sostenibile, consapevole, collettiva: in una parola umana.

Questa idea cozza contro la “strana “ realtà dei padroni del Veneto e dei loro sostenitori che vedono solo sviluppo-progresso-crescita-consumo-costruzioni-schei.
Oggi le piccole e grandi questioni che vedono in prima fila i cittadini a difendere i propri diritti non vengono decise nelle piazze o nelle aule dei tribunali.
La piazza ci dà legittimazione, ci unisce nella militanza, fa emergere le tematiche, ma in mancanza di una massiccia mobilitazione che sappia mettere in campo una conflittualità radicale e costruttiva o almeno, in mancanza di meglio, che dia la percezione di poter spostare un numero significativo di voti (il che spiega ad esempio i tentativi di cavalcare il movimento 9 dicembre detto anche “dei forconi” da parte di destra estrema, lega, forza italia e m5s) non riesce ad incidere sulle decisioni.

I movimenti sanno bene che oggi, è nell'intreccio politica – finanza che si gioca la partita ed attualmente, purtroppo, non sembrano avere la capacità di arrivare ad incidere a questi livelli.

Quello che sanno fare bene è di arrivare capillarmente ad intessere rapporti sul territorio con tutte quelle associazioni, comitati, gruppi di cittadini che sono sensibili alle tematiche che li accomunano.

Quel che san fare bene è il lavoro di sensibilizzazione su temi specifici e di gestione del conflitto sociale (che è già in atto), in quanto fa parte del loro bagaglio storico e culturale.

Questo è tanto vero che anche le amministrazioni locali cominciano a dialogare con loro in quanto soggetto legittimato dalle competenze e dalla conoscenza del territorio su tematiche specifiche.

Quale potrebbe essere dunque il prossimo passaggio?

Possiamo pensare di inserirci come attori nel tessuto economico e amministrativo, per avere voce in capitolo tanto quanto o anche più delle categorie economiche che di volta in volta decidono dell’uso del nostro territorio pur rappresentando meri interessi di settore?

Fino a poco tempo fa, la sinistra ha curato principalmente l'aspetto della difesa del lavoro e del lavoratore (dipendente), ed ha pensato poco alla creazione di lavoro, allo sviluppo di competenze e conoscenze.

Oggi, ad esempio, sappiamo che gli schiavi del terzo millennio sono la maggior parte dei lavoratori a partita Iva ricattabile e “licenziabile” in ogni momento e pertanto soggetta a superlavori sottopagati.

Sappiamo anche che la massa di lavoratori extracomunitari impiegati nella logistica in cooperative di comodo costituisce un ulteriore aspetto delle nuove schiavitù, così come la perdita progressiva di diritti e di democrazia nelle aziende è un dato di fatto.

Sappiamo che esistono aziende che su questo lucrano e prosperano e minacciano delocalizzazioni se qualcuno osa parlare.

Proporsi in prima persona per creare lavoro ed economia eticamente accettabile potrebbe essere una sfida a cui finora non si è pensato, costituire delle entità in grado di occupare giovani, disoccupati, persone in difficoltà dando conoscenze non marginali e di basso livello, ma una preparazione specifica che permetta di progettare un futuro.

Forse con la contaminazione tra conflittualità, propositività, riconoscimento da parte delle istituzioni e messa in moto di iniziative nel mondo economico si potrà fare un salto di qualità per incidere realmente sul nostro destino.

Enzo Tessaro

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