Come sempre, con l'avvicinarsi della
fine dell'anno, tra la fretta imposta dalle scadenze legali e
l'assopimento glicemico-etilico delle baldorie natalizie passano
silenziosamente e sottobanco emendamenti, sentenze, leggine e
decretini.
Viene dato risalto alle concessioni
alle richieste dei cittadini per fare passare in secondo piano i
provvedimenti che realmente vanno a modificare la vita delle persone.
Viene spontaneo fare una
considerazione.
La
parziale sospensione dei lavori della
Pedemontana Veneta fino
al 15 gennaio sui terreni dei ricorrenti al TAR del Lazio è ben poca
cosa
se rapportato
allo sforzo economico ed organizzativo
messi in opera per
ottenerla.
Vedremo in futuro se tale sforzo produrrà qualcosa di più.
Purtroppo
però, senza il sostegno di una reale mobilitazione popolare
l'opposizione alla costruzione di questa e di tutte le altre grandi
opere non può che produrre risultati minimi e provvisori.
L’esperienza
di questi anni ci dice infatti che le prescrizioni vengono aggirate,
le indicazioni disattese, e le sentenze sospese di fronte al potere
dei gruppi di interesse che di grandi opere si cibano e su cui
prosperano.
Una
massiccia presa di posizione da parte della persone passa
inevitabilmente attraverso la consapevolezza che queste cattedrali
nel deserto, questo spreco di risorse non rinnovaibili, questa
distruzione del territorio, non solo non sono necessarie, ma nemmeno
aumentano la qualità della nostra vita permettendoci (in teoria) di
correre, produrre e consumare di più.
La
qualità della vita infatti aumenta
se e solo se la nostra quotidianità diviene più lenta, sobria,
sostenibile, consapevole, collettiva: in una parola umana.
Questa
idea cozza contro la “strana “ realtà dei padroni del Veneto e
dei loro sostenitori che vedono solo
sviluppo-progresso-crescita-consumo-costruzioni-schei.
Oggi
le piccole e grandi questioni che
vedono in prima fila i cittadini a difendere i propri diritti non
vengono decise nelle piazze o nelle aule dei tribunali.
La
piazza ci dà legittimazione, ci unisce nella militanza,
fa emergere le tematiche,
ma in mancanza di una massiccia mobilitazione
che sappia mettere in campo una conflittualità radicale e
costruttiva o almeno, in mancanza di meglio,
che
dia la percezione di poter spostare un numero significativo di voti
(il che spiega ad esempio i tentativi di cavalcare il movimento 9
dicembre detto anche “dei forconi” da parte di destra estrema,
lega, forza italia e m5s) non
riesce
ad incidere
sulle decisioni.
I
movimenti sanno bene che oggi, è
nell'intreccio politica – finanza che si gioca la partita ed
attualmente,
purtroppo, non
sembrano
avere la capacità di
arrivare ad incidere a questi livelli.
Quello
che sanno fare bene è di arrivare capillarmente ad intessere
rapporti sul
territorio con
tutte quelle associazioni, comitati, gruppi di cittadini che sono
sensibili alle tematiche che li accomunano.
Quel che san fare
bene è il lavoro di sensibilizzazione su
temi specifici e di gestione del conflitto sociale (che
è già in atto), in quanto fa parte
del loro bagaglio storico e culturale.
Questo è tanto vero
che anche le amministrazioni locali cominciano a dialogare con
loro in quanto soggetto legittimato dalle competenze e dalla
conoscenza del territorio su tematiche specifiche.
Quale potrebbe essere
dunque il prossimo passaggio?
Possiamo pensare di
inserirci come attori nel tessuto economico e amministrativo, per
avere voce in capitolo tanto quanto o anche più delle categorie
economiche che di volta in volta decidono dell’uso del nostro
territorio pur rappresentando meri interessi di settore?
Fino a poco tempo
fa, la sinistra ha curato principalmente l'aspetto della
difesa del lavoro e del lavoratore (dipendente),
ed ha pensato
poco alla creazione di lavoro, allo sviluppo di competenze e
conoscenze.
Oggi, ad esempio,
sappiamo che gli schiavi del terzo millennio sono la maggior parte dei
lavoratori a partita Iva ricattabile e “licenziabile” in ogni
momento e pertanto soggetta a superlavori sottopagati.
Sappiamo anche che la
massa di lavoratori extracomunitari impiegati nella logistica in
cooperative di comodo costituisce un ulteriore aspetto delle nuove
schiavitù, così come la perdita progressiva di diritti e di
democrazia nelle aziende è un dato di fatto.
Sappiamo che esistono
aziende che su questo lucrano e prosperano e minacciano
delocalizzazioni se qualcuno osa parlare.
Proporsi in prima persona per creare
lavoro ed economia eticamente accettabile potrebbe essere una sfida a
cui finora non si è pensato, costituire delle entità in grado di
occupare giovani, disoccupati, persone in difficoltà dando
conoscenze non marginali e di basso livello, ma una preparazione
specifica che permetta di progettare un futuro.
Forse con la
contaminazione tra conflittualità,
propositività, riconoscimento da parte delle istituzioni e
messa in moto di iniziative nel
mondo economico si potrà fare un salto di qualità
per incidere realmente sul nostro destino.
Enzo Tessaro
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